Dal secondo capitolo del
libro: “Una domenica da paura”.
Abbiamo lasciato il nostro
essere umano medio al centro commerciale, di sabato pomeriggio, nella selva oscura degli acquisti, in mezzo a
carrelli, camerini, vestiti e regalini, sognando di uscire a riveder le stelle e di godersi almeno
una tranquilla domenica di pace.
Sognando appunto.
Già la domenica mattina non
si annuncia benissimo al nostro eroe, che sente suonare un campanello alle
7.50.
Si sveglia di soprassalto
con il terrore negli occhi, in 20 secondi ha lo spazzolino in una mano e la
tazza del caffè nell’altra, il pettine fra i denti e i pantaloni
semi-infilati.. quando capisce che non
è Lunedì mattina e che a suonare non
è stata la sveglia ma il campanello di casa.
Al citofono ci sono dei
simpatici omini, che si annunciano festosi come dei testimoni, vestiti con una bella camicia bianca a maniche corte e
una cravatta blu, chiedendo di salire per un colloquio sulla vita e sull’amore.
A questo punto l’essere
umano medio vorrebbe riempire il serbatoio di nafta del suo lanciafiamme per
una piccola svampata, ma respira profondamente ed esprime un cordiale diniego
alle richieste di colloquio.
Subito dopo corre verso la
camera e si ributta a pesce sotto le coperte, sperando di tornare presto tra le
braccia di Morfeo.
Passano 5 minuti e comincia
un rumore che ha l’intensità di un Tornado che vola a bassa quota, in realtà è
la vicina che ha acceso il malefico aspirapolvere per le pulizie della
domenica.
Il rumore dell’aspirapolvere
quando una persona sta dormendo è la cosa più fastidiosa del mondo, più della
goccia del lavandino che perde, più della serrandina che sbatte con il vento, paragonabile
soltanto ad una puntata di “Pechino express”, interrotti di tanto in tanto
dalla pubblicità dei materassi della Ferilli.
Ormai nervoso come una iena
l’essere umano medio perde il sonno e si alza per fare colazione, accolto in
cucina dalla montagna di piatti sporchi della cena con gli amici del sabato
sera.
La giornata scorre sorniona
fino all’ora di pranzo, quando viene consumato il classico banchetto della
domenica: una magnata fotonica di pasta al forno, secondo di carne, contorni,
pastarelle, frutta, caffè e ammazza-caffè per digerire.
Dopo pranzo il nostro amico
anela sano e meritato riposo, seduto a panza piena sul divano, con la
televisione accesa su “Quelli che il calcio..” per fare due risate, seguire i
risultati delle partite e conciliare l’immancabile pennechetta.
Mentre sta sognando di
essere il Sultano del Brunei nel suo harem
personale viene bruscamente svegliato da una vocina che gli dice:
«Andiamo al cinema? Voglio vedere quel film che ti dicevo»
«Andiamo al cinema? Voglio vedere quel film che ti dicevo»
“Quel film che ti dicevo” è
una palla tremenda, talmente noioso che una tribuna elettorale in confronto
diventa un cartone animato dell’Ape Maia, talmente pesante che in confronto la Corazzata
“Potionkin” di Fantozzi diventa un’allegra commedia americana.. ma fa molto “colto” ed “intellettuale” andarlo a vedere.
L’essere umano medio si
sente in trappola, propone una bella passeggiata al Sole, un piacevole giretto
sul lungomare, due passi ai mercatini del centro.. ma non c’è niente da fare,
la compagna insiste dolcemente sul
cinema.
I cinema di oggi non sono
più come quelli di una volta, ora ci sono i “multisala”, dove nella stessa
serata vengono proiettate una decina di pellicole diverse.
Quando iniziano i film
l’altoparlante suggerisce il numero delle sale da occupare e mucchietti di
persone si spostano per raggiungerle, un po’ come lo smistamento di una catena
di montaggio.
Ai vecchi tempi il cinema si
trovava in città, aveva un’unica sala, le poltrone non erano comodissime e non
c’era il porta-bibita sul bracciolo.. ma c’erano un calore ed un’atmosfera
sicuramente diversi.
I posti a sedere erano
liberi e una volta fatto il biglietto ci si affrettava, facendo finta di
niente, per trovare la posizione migliore, né troppo vicino né troppo lontano
dallo schermo.
Ora ci sono i biglietti
numerati.
L’essere umano medio e la
sua compagna, ottenuti i preziosi tagliandi, entrano nella sala numero 3, i
biglietti sono G12 e G13 e inizia subito la ricerca della fila, che non si
capisce mai quale è.
La sala è tutt’altro che
piena è lei ha la una bellissima idea:
«Mettiamoci qui, questi sono
meglio, tanto non c’è nessuno»
Puntualmente, quando si
spengono le luci e inizia il film, arrivano i veri proprietari dei posti, con tanto di biglietto numerato in mano
e ci si deve spostare costringendo l’intera fila ad alzarsi.
I posti giusti sono stati ormai occupati da altre due faine e così il nostro essere umano
medio, rosso come un peperone e di nuovo nervoso come una iena, per non creare
un terremoto, propone di sedersi in due poltrone laterali, le prime che vede
libere.
Non si sa mai dove mettere i
giubbetti, se lasciarli sopra le gambe, creando un effetto serra che fa sudare
come capre o appoggiarli sul posto vuoto più vicino, con il pensiero continuo
che qualche simpaticone si freghi il portafoglio.
Dopo queste piccole
sistemazioni, proprio quando l’essere umano medio si sta per appennecare,
facilitato dalla pesantezza della pellicola e dal calduccio, finisce il primo
tempo.
Una botta di luce investe il
nostro malcapitato che, insieme alla vista di tante persone che si alzano,
crede in un miracolo e nella fine del film.
Subito dopo una soave vocina lo riporta alla realtà:
«Mi vai a prendere i tacos e la Coca-cola?»
Un sussulto lo colpisce.
Al pensiero di quella roba la
pasta al forno, lungi dall’essere digerita, si è mossa pericolosamente nel suo
stomaco.
Con l’eleganza di un
elefante in una cristalleria l’essere umano medio, per non scatenare le ire
della compagna, si alza e si dirige al bar del cinema.
Il bar del cinema durante la
fine del primo tempo non si augura a nessuno.
Una massa di gente, che
sembra non bere e non mangiare da settimane, si accalca in file mostruose per
accaparrarsi pop-corn, ogni tipo di bibita, panini veloci (surgelati),
stuzzichini messicani super piccanti e chi più ne ha più ne metta.
Dopo circa una ventina di
minuti si riesce a tornare in sala, con il film che naturalmente è
ricominciato, con il buio quasi completo e con il serio rischio di rovesciare
qualcosa sopra ad ignari spettatori.
Due ore e mezzo non passano
mai e l’attenzione dell’essere umano medio è da un pezzo rivolta alla coppia al
lato che sta limonando e al vecchietto davanti che sta russando.. quando arrivano
gli insperati titoli di coda.
Si aprono le porte per la libertà, l’aria fresca e le stelle nel cielo.
Si aprono le porte per la libertà, l’aria fresca e le stelle nel cielo.
Subito si mette in coda per
uscire dalle classiche porte di sicurezza, che vengono aperte a fine proiezione,
quando sente la solita vocina che gli
dice:
«Tienimi il cappotto e la
borsa che devo andare in bagno».
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