lunedì 10 novembre 2014

Buona Domenica



Dal secondo capitolo del libro: “Una domenica da paura”.

Abbiamo lasciato il nostro essere umano medio al centro commerciale, di sabato pomeriggio, nella selva oscura degli acquisti, in mezzo a carrelli, camerini, vestiti e regalini, sognando di uscire a riveder le stelle e di godersi almeno una tranquilla domenica di pace.

Sognando appunto.

Già la domenica mattina non si annuncia benissimo al nostro eroe, che sente suonare un campanello alle 7.50.
Si sveglia di soprassalto con il terrore negli occhi, in 20 secondi ha lo spazzolino in una mano e la tazza del caffè nell’altra, il pettine fra i denti e i pantaloni semi-infilati.. quando capisce che non è Lunedì mattina e che a suonare non è stata la sveglia ma il campanello di casa.

Al citofono ci sono dei simpatici omini, che si annunciano festosi come dei testimoni, vestiti con una bella camicia bianca a maniche corte e una cravatta blu, chiedendo di salire per un colloquio sulla vita e sull’amore.
A questo punto l’essere umano medio vorrebbe riempire il serbatoio di nafta del suo lanciafiamme per una piccola svampata, ma respira profondamente ed esprime un cordiale diniego alle richieste di colloquio.
Subito dopo corre verso la camera e si ributta a pesce sotto le coperte, sperando di tornare presto tra le braccia di Morfeo.

Passano 5 minuti e comincia un rumore che ha l’intensità di un Tornado che vola a bassa quota, in realtà è la vicina che ha acceso il malefico aspirapolvere per le pulizie della domenica.
Il rumore dell’aspirapolvere quando una persona sta dormendo è la cosa più fastidiosa del mondo, più della goccia del lavandino che perde, più della serrandina che sbatte con il vento, paragonabile soltanto ad una puntata di “Pechino express”, interrotti di tanto in tanto dalla pubblicità dei materassi della Ferilli.

Ormai nervoso come una iena l’essere umano medio perde il sonno e si alza per fare colazione, accolto in cucina dalla montagna di piatti sporchi della cena con gli amici del sabato sera.
La giornata scorre sorniona fino all’ora di pranzo, quando viene consumato il classico banchetto della domenica: una magnata fotonica di pasta al forno, secondo di carne, contorni, pastarelle, frutta, caffè e ammazza-caffè per digerire.

Dopo pranzo il nostro amico anela sano e meritato riposo, seduto a panza piena sul divano, con la televisione accesa su “Quelli che il calcio..” per fare due risate, seguire i risultati delle partite e conciliare l’immancabile pennechetta.

Mentre sta sognando di essere il Sultano del Brunei nel suo harem personale viene bruscamente svegliato da una vocina che gli dice:
«Andiamo al cinema? Voglio vedere quel film che ti dicevo»
“Quel film che ti dicevo” è una palla tremenda, talmente noioso che una tribuna elettorale in confronto diventa un cartone animato dell’Ape Maia, talmente pesante che in confronto la Corazzata “Potionkin” di Fantozzi diventa un’allegra commedia americana.. ma fa molto “colto ed “intellettuale” andarlo a vedere.

L’essere umano medio si sente in trappola, propone una bella passeggiata al Sole, un piacevole giretto sul lungomare, due passi ai mercatini del centro.. ma non c’è niente da fare, la compagna insiste dolcemente sul cinema.

I cinema di oggi non sono più come quelli di una volta, ora ci sono i “multisala”, dove nella stessa serata vengono proiettate una decina di pellicole diverse.
Quando iniziano i film l’altoparlante suggerisce il numero delle sale da occupare e mucchietti di persone si spostano per raggiungerle, un po’ come lo smistamento di una catena di montaggio.
Ai vecchi tempi il cinema si trovava in città, aveva un’unica sala, le poltrone non erano comodissime e non c’era il porta-bibita sul bracciolo.. ma c’erano un calore ed un’atmosfera sicuramente diversi.
I posti a sedere erano liberi e una volta fatto il biglietto ci si affrettava, facendo finta di niente, per trovare la posizione migliore, né troppo vicino né troppo lontano dallo schermo.

Ora ci sono i biglietti numerati.

L’essere umano medio e la sua compagna, ottenuti i preziosi tagliandi, entrano nella sala numero 3, i biglietti sono G12 e G13 e inizia subito la ricerca della fila, che non si capisce mai quale è.
La sala è tutt’altro che piena è lei ha la una bellissima idea:
«Mettiamoci qui, questi sono meglio, tanto non c’è nessuno»
Puntualmente, quando si spengono le luci e inizia il film, arrivano i veri proprietari dei posti, con tanto di biglietto numerato in mano e ci si deve spostare costringendo l’intera fila ad alzarsi.
I posti giusti sono stati ormai occupati da altre due faine e così il nostro essere umano medio, rosso come un peperone e di nuovo nervoso come una iena, per non creare un terremoto, propone di sedersi in due poltrone laterali, le prime che vede libere.

Non si sa mai dove mettere i giubbetti, se lasciarli sopra le gambe, creando un effetto serra che fa sudare come capre o appoggiarli sul posto vuoto più vicino, con il pensiero continuo che qualche simpaticone si freghi il portafoglio.
Dopo queste piccole sistemazioni, proprio quando l’essere umano medio si sta per appennecare, facilitato dalla pesantezza della pellicola e dal calduccio, finisce il primo tempo.
Una botta di luce investe il nostro malcapitato che, insieme alla vista di tante persone che si alzano, crede in un miracolo e nella fine del film.
Subito dopo una soave vocina lo riporta alla realtà:
«Mi vai a prendere i tacos e la Coca-cola?»
Un sussulto lo colpisce.
Al pensiero di quella roba la pasta al forno, lungi dall’essere digerita, si è mossa pericolosamente nel suo stomaco.
Con l’eleganza di un elefante in una cristalleria l’essere umano medio, per non scatenare le ire della compagna, si alza e si dirige al bar del cinema.

Il bar del cinema durante la fine del primo tempo non si augura a nessuno.

Una massa di gente, che sembra non bere e non mangiare da settimane, si accalca in file mostruose per accaparrarsi pop-corn, ogni tipo di bibita, panini veloci (surgelati), stuzzichini messicani super piccanti e chi più ne ha più ne metta.
Dopo circa una ventina di minuti si riesce a tornare in sala, con il film che naturalmente è ricominciato, con il buio quasi completo e con il serio rischio di rovesciare qualcosa sopra ad ignari spettatori.

Due ore e mezzo non passano mai e l’attenzione dell’essere umano medio è da un pezzo rivolta alla coppia al lato che sta limonando e al vecchietto davanti che sta russando.. quando arrivano gli insperati titoli di coda.
Si aprono le porte per la libertà, l’aria fresca e le stelle nel cielo.
Subito si mette in coda per uscire dalle classiche porte di sicurezza, che vengono aperte a fine proiezione, quando sente la solita vocina che gli dice:
«Tienimi il cappotto e la borsa che devo andare in bagno».



 

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