lunedì 6 ottobre 2014

Alle poste

Si definiscono POSTE quei locali dove il colore dominante è il giallo e dove curiosi esseri umani sono soliti trascorrere ore della loro vita cercando di pagare bollette e bollettini.

Alle poste si misurano le reali virtù di una persona.

Attraversare il Grand Canyon a piedi a ferragosto?
Nuotare in mezzo agli squali?
Buttarsi dal grattacielo con il paracadute?

Bazzecole in confronto ad una FILA all’ufficio postale.

I benefici effetti di 12 anni di yoga e training autogeno possono sfumare in pochi secondi, con la mente persa fra bollettini, F24, libretti, bonifici, pacchi e raccomandate.. ed è un attimo passare al lato oscuro della forza.

L’utente medio che si reca alle poste, appena entrato, cerca disperatamente la colonnina giallo fluo, per districarsi nell’operazione della scelta del numero per la fila.
Accecato da questa botta di colore si accinge a premere il pulsante argenteo relativo alla lettera A (che nel dubbio dovrebbe andare bene per tutto) ma premendo il bottone si muove tutta la colonnina e non esce nessun foglietto.
Dopo 5 o 6 prove, con una fila di 20 persone dietro, inferocite come iene assassine per il tempo che stanno perdendo, l’utente medio in qualche modo blocca la colonnina con una mano e preme il pulsante con l’altra.

Il tabellone segna A017, lui ha A060..

Una quarantina di persona davanti, posti a sedere zero.
Dopo 20 minuti di attesa, le scarpe che gli fanno male ed un discreto mal di schiena, comincia a rassegnarsi ed a guardarsi intorno per passare il tempo.
Il giubbetto lo ha già tolto e lo tiene in mano, infatti alle POSTE la temperatura interna sta sempre sui 30-35 gradi, d’estate e d’inverno, temperatura ottimale per la foresta pluviale amazzonica.

Nei moderni uffici postali c’è un discreto numero di posti a sedere, classiche poltroncine di legno richiudibili disposte in due o tre file, tipo cinema anni’80 o sale convegni a spende poco.
Le prime file sono le più gioiose, in genere occupate da simpatiche vecchiette in attesa della pensione, che però starerebbero lì anche senza un motivo particolare, giusto per chiacchierare un pò con i vicini di seduta e godersi tutto il resto dello spettacolo.
Nelle altre file, in ordine sparso, ci sono i normali utenti, pieni di bollettini e documenti sulle mani, con i loro mille pensieri e l’espressione del viso discretamente triste.
Gli outsiders sono i giovinotti che arrivano di tanto in tanto per ricaricare la postepay o pagare qualche tassetta universitaria e gli stranieri che chiedono lumi su come spedire le cose più assurde ai loro paesi di origine.
C’è poi la bellona di turno, sempre in piedi per sfoggiare il fisico prestante, fintamente assorta in pensieri manageriali, che quando arriva il suo turno regala ai presenti la sfilata di moda Prêt-à-porter autunno-inverno 2014.

Ma torniamo all’utente medio, che sta aspettando ormai da una mezz’oretta, sudato come una capra, con il giubbetto e la maglia sulle mani e i gabbasisi che gli girano a manovella.
Il suo sguardo viene attratto dal Poste Shop, un angolo dell’ufficio dove sono esposti libri, album e vari articoli da regalo, una via di mezzo tra una bella idea per passare il tempo morto e una presa in giro che sottolinea ancor di più le lunghe attese.
Dalla parte opposta invece fa la sua bella figura il bancone della telefonia Poste Mobile.. alla fine mancherebbe soltanto un piccolo supermercato e un angolo bar per il SERVIZIO COMPLETO.
Un’altra cosa che l’utente medio nota, quando la sua attesa sta ormai sfiorando i 40 minuti è che nel malefico tabellone segna-numeri la lettera A esce ogni morte di papa, anticipata sempre dalle colleghe  E.. L.. C.. P..

C’è poi chi finge di avere un conto Banco Posta e appena arrivato ti passa davanti perché ha la precedenza, chi si avvicina all’impiegato per chiedere un modulo mancante e visto che è lì si infila con italica destrezza e taglia la fila ed anche chi mostra il biglietto della gastronomia spacciandolo per quello appena chiamato..

Quando l’attesa sfiora i 50 minuti e l’utente medio si sta già chiedendo perché non mandare tutti a fancuore ed emigrare in Costa Rica, accade l’insperato miracolo, la lettera A galoppa sul tabellone come Varenne dei tempi d’oro ed in men che non si dica ecco chiamato il numero A060.
Un balzo felino lo fa avvicinare all’insperato traguardo, alla faccia dell’artrosi e del mal di schiena, la gioia dipinge i lineamenti di questo essere umano tornato alla vita ma, quando si trova a meno di un metro dall’impiegata, una simpatica mammina con bambino al seguito passano davanti ed occupano il suo posto.

«Come è possibile?»
Pensa il nostro amico tra sè e sè.
«Dove è andato a finire il mio numero?»
Tirando fuori qualsiasi cosa da tasche e taschini il bigliettino non viene fuori e in terra intorno a lui non vede nulla.
Nel frattempo si accorge che il bambino che ha scorrazzato per tutto il tempo qua e là, giocando con le macchinine, ora è vicino alla mamma posto-usurpatrice e gli sorride salutandolo con la manina.

Nell’altra mano stringe, insieme ad un peluche di Peppa pig, un fogliettino bianco che ha trovato sul pavimento..




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